giovedì 9 aprile 2015

Buongiorno a tutti! Siccome sono mancata per molto tempo voglio deliziarvi con questo racconto, "Kenneth", tratto dalla mia antologia "Sogni d'amore". Vi piacerà così tanto che correrete a comprare il libro! Aspetto i vostri commenti e tanti like! A presto!

Adesso o mai più. O si dichiara quest’estate o io smetterò di essere innamorata di lui. Questo è quello che dissi alla mia migliore amica, Michela, più di un anno fa; prima che tutta questa storia finisse. Sarebbe il caso mi presentassi: mi chiamo Melania (sì, le ho sentite tutte: Melania la lagna, gnania, mela e tante altre. Cosa volete che vi dica, si vede che i miei genitori erano depressi quando hanno scelto il mio nome!), ho venticinque anni vivo a.. ha importanza? No, ai fini della storia direi di no, perciò andiamo avanti. Lavoro da quando ho diciotto anni: mamma e papà avrebbero preferito frequentassi l’università ma ho un metodo tutto mio di studiare: sono pignola, infaticabile, inesauribile ma solo nelle materie che amo e visto che un corso di laurea così non esiste ho deciso di mettere a frutto un lato del mio carattere molto marcato: empatia! Quindi… su non è difficile… sono una wedding planner! All’inizio è stato difficile: non c’erano fondi, mamma e papà non potevano aiutarmi, ma era tanta la voglia di farcela che, dopo un percorso ad ostacoli fatto di clienti insoddisfatti e non paganti, fornitori farlocchi, inconvenienti naturali e non, la mia sfiga personale che quando ci si mette beh, non la supera nessuno alla fine sono riuscita a farmi un nome ed ad aprire una prima filiale in un’altra città. Se volete che il vostro matrimonio sia la vostra favola non dovete far altro che chiamarmi! Scusate, la manager che è in me ogni tanto viene fuori. Vi racconto solo un episodio, giusto per farvi capire: matrimonio sulla neve e intendo sulle piste da sci. Tutto procede magnificamente, l’atmosfera è così da favola che sembra finta. Finisce la cerimonia e dovete raggiungere il rifugio dove vi attende il pranzo. Dopo che tutti gli ospiti, esclusi la sottoscritta, paggetti e genitori dei paggetti hanno raggiunto la vetta, la seggiovia pensa bene di esalare l’ultimo respiro. Arriva Evaristo, l’istruttore di sci che ti indica un bastone da infilarti in mezzo alle gambe giurando e spergiurando che quel coso ti porterà al rifugio.. basta che ti metti gli sci! Bambini entusiasti, genitori in visibilio per “l’irrinunciabile opportunità” e così alla fine, scettica, cedi. Dopo i primi dieci metri i tuoi muscoli iniziano a rilassarsi, arrivata ai quindici metri abbozzi un sorriso ed inizi a paragonarti alla Kostner ed è qui che commetti l’errore fatale: arrivata in prossimità dei venti metri ti giri per salutare con la manina tipo Sua Altezza Reale ed inneschi la tragedia: improvvisamente l’unica mano con cui ti tenevi decide di abbandonarti, gli sci, che vivono di vita propria, decidono di non seguire più la traccia e prima che tu possa accorgertene ti ritrovi a ruzzolare giù per la collina urlando e travolgendo tutti e tre i paggetti che erano saliti dopo di te. Genitori sconcertati, bambini sprezzanti che capiscono immediatamente che non hai mai messo un paio di sci ai piedi e tu che pensi al tuo Armani irrecuperabile. Dove eravamo rimasti? Giusto, stavamo parlando di me. Ho dimenticato di dirvi che sono bella: ne ho fin sopra alla testa di falsa modestia. Sono il classico esempio di ragazza mediterranea: alta, capelli neri, occhi nocciola, labbra carnose e tutte le curve al punto giusto. Per questo i ragazzi non mi sono mai mancati: mori, biondi, sportivi, intellettuali… l’ultimo si chiamava Francesco: molto carino, peccato averlo beccato a letto con un’altra un’ora dopo aver finito con me. Ho detto che sono bella, non perfetta. A tutte capita di venir tradite! A dire la verità però non mi sono mai impegnata, con nessuno di loro. Questo perché sono sempre stata pazzamente innamorata dell’unico uomo della mia vita: Kenneth. Caro, carissimo amico di mio padre. No. Non è così vecchio -scusa papà - Kenneth ha quarant’anni, non è bello in maniera convenzionale ma ha un sorriso ed uno sguardo… e vi ho mai parlato della sua voce? Avete mai sentito qualcosa di più sexy della sua voce?! Una tigre che fa le fusa. Mi vengono i brividi ogni volta che lo sento e considerando il mestiere che fa e l’amicizia che lo lega a mio padre lo sento spesso; perciò vi lascio immaginare il mio stato emotivo. Volete sapere cosa fa nella vita? Il mio Kenneth è un attore, di teatro. Shakespeare per l’esattezza: Amleto, Romeo e Giulietta, Molto rumore per nulla, Sogno di una notte di mezz’estate…. Viene osannato dalla critica, idolatrato dai fans, non vi dico le scene ridicole di certe donne: anche anziane; ha messo su una compagnia teatrale con cui gira il paese e ha scritto il suo secondo romanzo. Ovviamente il primo è stato un successo. Sicuramente vi starete chiedendo cosa ci facesse un tipo come Kenneth con una ragazzina come me. Nulla, non faceva nulla ed era proprio questo il problema, e qui ritorniamo all’ultimatum che mi diedi parlando con Michela. Facciamo un ulteriore passo indietro: come ha fatto papà a conoscere Kenneth? Abbiamo una casa al mare, mio nonno era pescatore e con grossi sacrifici riuscì a comprarsi questa piccola casa: cucinotto con sala da pranzo, due camere da letto e il bagno, una meravigliosa vista sul mare a due passi da casa. Quando mamma e papà si sposarono, siccome era estate e siccome i soldi erano pochini, decisero di fare lì il viaggio di nozze e qui conobbero Kenneth, all’epoca quindicenne, impiegato saltuariamente in lavoretti presso le case dei vicini per potersi pagare il corso di recitazione. Mio padre lo prese subito in simpatia, quasi come se fosse un fratello minore e papà divenne per Kenneth una sorta di padre barra fratello maggiore barra consigliere. Il viaggio di nozze fu propizio perché io venni alla luce esattamente nove mesi dopo e Kenneth mi vide nascere, vide il mio primo bagnetto, umiliante decisamente, il mio primo dentino, mi cambiò il pannolino, niente commenti vi prego, mi fece da baby sitter… Poi tutto cambiò, quando? All’incirca intorno ai miei dieci anni, Kenneth ebbe il suo primo ingaggio e non lo vidi per mesi. Certo, si faceva sentire, con papà, quasi tutti i giorni ma voi capite che un ragazzo di ventitré anni al suo primo ingaggio come attore in giro per il paese è una specie di mina vagante. Foto sui giornali, starlette, feste…. Lo rivedemmo solo dopo un anno per le vacanze estive: arrivò una mattina dopo che la notte un temporale aveva rinfrescato l’aria d’agosto; ero in spiaggia a passeggiare con la mia cagnolina quando vidi da lontano un uomo seduto intento a guardare il mare; mi avvicinai e mi accorsi che era Kenneth. Lui mi guardò e mi salutò . Non so cosa scattò dentro di me, ma in quel momento mi accorsi di amarlo: aveva lo sguardo triste e malinconico, mi guardava come se fossi la sua ancora di salvezza ed era bello da morire. Avrei voluto abbracciarlo e giurargli amore eterno - sì, tipo la famiglia cuore di Barbie e Ken, all’epoca era il mio modello di riferimento, immaginavo una lieve brezza tra i capelli, gli occhi a cuoricino; lui che innamoratissimo ma conscio della mia giovane età prometteva di aspettarmi… e invece, sapete cosa gli dissi? . A undici anni le mie skill non comprendevano . In ogni caso funzionò perché dopo un primo sguardo basito scoppiò a ridere e si fece portare a casa. Tutt’ora non so cosa si siano detti con papà ma quando uscirono dalla camera Kenneth era diventato un uomo. Rimase con noi tutta l’estate. Furono i tre mesi più belli della mia vita di bambina: la mattina al mare con Kenneth a fare tuffi, immersioni e tante tante foto; al pomeriggio al boschetto, chiamavamo così i giardini del paese, a rilassarci leggendo o dando da mangiare ai pesci nelle vasche. Passarono così in fretta quei mesi che al momento di chiudere casa per tornare in città scoppiai a piangere così violentemente che mi sentii male. Mamma e papà imputarono le lacrime ad una crisi pre-adolescenziale, io sapevo che il mio pianto era tutto e solo per Kenneth. Sarebbe partito per chissà dove e avrei dovuto aspettare un altro anno prima di rivederlo. I miei undici anni furono pieni di sorprese: quell’anno a scuola conobbi Michela. Avete presente la classica secchiona che non stringe amicizia con nessuno? Ecco, all’inizio era così e, ovviamente, il nostro era un rapporto di odio cordiale. Poi accaddero due fatti importanti: ci misero vicine di banco e al primo compito in classe di algebra notai che era in difficoltà, così appena finito il mio l’aiutai con il suo (non chiedetemi come ciò sia potuto accadere, io sono una frana in matematica. Si vede che quel giorno ero ispirata..); divenni “signorina”, come piaceva dire alla mamma, tradotto significa che mi venne il ciclo per la prima volta: gioia e tripudio! Ignara di tutto mi trovai a scuola con dei crampi alla pancia che sembrava qualcuno si stesse divertendo a martellarmi il ventre, andai in bagno e lì: ORRORE! Perdevo sangue, ergo stavo per morire, sì, quello fu il primo pensiero che mi venne in mente e non ditemi che non ci avete pensato anche voi la prima volta. Decisa a fare l’eroina, già in giovane età avevo le manie da martire, non dissi nulla a nessuno. Usai la carta igienica come se fosse un assorbente e rientrai in classe. Suonata la ricreazione mi precipitai in bagno e quando, in lacrime, vidi passare sotto la porta quello che poi avrei saputo essere un assorbente pensai ad un intervento divino che con la voce di Michela mi diceva come usarlo. Da quel momento diventammo inseparabili. Non ci giurammo mai amicizia eterna, non ci tenevamo per mano quando giravamo per la strada pedonale della città, non ci siamo mai dette in continuazione “ti voglio bene”. Non avevamo bisogno di tutto questo: ci bastava uno sguardo per capirci e con gli anni sviluppammo una sorta di sesto senso per cui se una di noi stava male l’altra lo sapeva e si precipitava. Insomma, l’amicizia perfetta. Tutto questo portò la Michela a trascorrere le vacanze con noi, i suoi genitori stavano divorziando non proprio civilmente: ero elettrizzata, dopo mesi di confessioni, descrizioni e foto avrebbe finalmente conosciuto l’amore della mia vita. Ero così carica di speranze e di illusioni. Avevo un anno in più, ero sviluppata e avevo la forza della mia migliore amica con me. Cosa mai avrebbe potuto abbattermi? Evelin. Chi è Evelin?! La simpaticona con cui Kenneth si presentò a casa: ultima aggiunta alla compagnia, aveva capito di amarla nell’istante stesso in cui i loro sguardi si erano incontrati. Peccato che fosse un’oca fatta e finita. Non pensate che il mio giudizio fosse di parte, anche se effettivamente avrebbe potuto portare a casa la Montalcini che avrei pensato la stessa cosa, tutti la pensavano come me, solo che non glielo dicevano. Era una benedizione quando stava zitta sia perché, quando parlava, sparava delle idiozie aberranti sia perché aveva quel tono di voce che generalmente nei film viene attribuito alle svampite. Passava il tempo a truccarsi, spalmarsi di creme e olii e sistemarsi i capelli. Io la odiavo, semplicemente. Monopolizzava Kenneth e trattava tutti dall’alto in basso perché lei era un’attrice! Peccato che il suo ruolo fondamentale era quello di dire una battuta in tutta la rappresentazione. In ogni caso con Michela decidemmo di batterla nel suo stesso campo: a scuola avevamo messo su una rappresentazione teatrale, il mio ruolo era quello di Corifero, il capo del coro. Lei era Euridice, la nostra professoressa di lettere era fissata con i miti greci quindi rappresentammo Orfeo ed Euridice (la storia di un vero e grande amore distrutta da un tragico dolore, la mia battuta iniziale) ed Efesto. Ci divertimmo e considerate che scenografie e testi li facemmo tutti noi. Una sera convincemmo Kenneth a guardare il filmino: ero brava, dannatamente brava, per avere undici anni, la voce non mi tremava, sembrava avessi studiato dizione. Ero sempre in scena e quel peplo confezionato a casa mi stava da dio! Kenneth ci fece i complimenti e ci invitò a continuare su questa strada, Evelin ci liquidò con una smorfia paragonandoci a dei cartoni animati. La fulminai e con una calma che non provavo le dissi: . Rimase senza parole, io continuai a fissarla finché la Michela non mi trascinò via. Nessuno disse nulla ma il giorno dopo di Evelin non c’era traccia e finalmente io avevo il mio Kenneth tutto per me. Passarono gli anni io crescevo e mi innamoravo sempre di più e Kenneth cambiava ragazza ogni tre mesi. All’inizio la gelosia mi divorava ma quando capii che nessuna riusciva a durare più di novanta giorni mi misi il cuore in pace, più o meno. Così, forse perché ero più tranquilla, forse perché effettivamente ero cresciuta, il terzo anno di liceo presi una cotta per Federico: un ragazzo di un anno più grande che frequentava il mio stesso liceo. Fu il mio primo ragazzo ed il primo (e l’ultimo) che si imbatté nella furia di Kenneth. All’epoca la Michela usciva con Saverio che frequentava già l’università, dopo mille insistenze riuscì ad ottenere dai miei il permesso di uscire al sabato sera così organizzammo un’uscita a quattro. Andammo al cinema a vedere la versione restaurata e senza censure de “L’esorcista” poi in un pub dove, per la prima volta, io e la Michela bevemmo vodka alla pesca, sarebbe rimasta per anni la nostra unica bevanda alcolica. Mentre stavamo chiaccherando Saverio si girò verso la Michela e la baciò: io e Federico rimanemmo imbarazzati all’inizio poi lui fece lo stesso con me: il mio primo bacio!!!!!! Bello, dolce e accattivante. Mentre sentivo le campane suonare non sentii più le labbra di Federico sulle mie. Aprii gli occhi e vidi Federico preso per il bavero da Kenneth che lo guardava furioso. Gli disse di mettere giù le mani, che ero solo una bambina. Ora: avevo sedici anni, ero con i miei amici ed il mio ragazzo, voi potete immaginare l’imbarazzo in cui mi trovai? Volevo sprofondare, speravo arrivasse un tornado, un terremoto, una qualsiasi catastrofe naturale che mi impedisse di sopravvivere a quella imbarazzante sceneggiata. Kenneth spinse un Federico costernato da un lato e mi afferrò per il polso ordinandomi di andare a casa. Strattonai il braccio riuscendo a liberarmi: Non finì la frase. Gli tirai uno schiaffo così forte che mi bruciò la mano e con le lacrime appese riuscii solo a dirgli che era uno stupido. Me ne andai piena di umiliazione e di indignazione. Non gli rivolsi la parola per un anno. Continuai ad uscire con Federico per i due anni successivi: lui fu la mia prima volta e lo ricordo ancora con affetto. Con Kenneth ormai era come se fossimo su due binari paralleli che non si sarebbero mai incontrati: l’amicizia di un tempo non esisteva più, eravamo di una cortesia formale quasi imbarazzante. Solo Michela sapeva quanto stavo male ogni volta che sulle pagine dei giornali scandalistici appariva una sua foto insieme all’attriciuccola del momento. Lei era l’unica che raccoglieva i miei sfoghi e li trasformava in forza. Ad un mese dalla maturità mentre eravamo intente a ripassare quel simpaticone di Aristotele (avete mai provato a tradurlo? Beh, non fatelo) accendemmo la televisione e apparve sullo schermo una foto di Kenneth abbracciato ad una donna e la sua voce che annunciava le nozze per il 10 di agosto. Mi sentii morire; credo che il mio cuore perse un battito e che la mia pressione scese ai minimi. Il mio Kenneth si sposava: tutto era perduto. La Michela era terrorizzata: credo abbia pensato mi venisse un infarto. Chiamai mia madre per avere spiegazioni. Mi sembrava strano che non avesse detto nulla a mio padre visto quanto erano amici, quindi c’era ancora una speranza che fosse tutto l’ennesima bufala. Fui smentita da mia madre: lo sapevano da mesi ma avevano preferito non dirmi nulla visto che dovevo prepararmi per la maturità. Doppia umiliazione: Kenneth si sposava e i miei sapevano tutto. Ottimo. Mi buttai sullo studio, non avevo altro: notte e giorno a studiare, china sui libri, quasi mi dimenticavo di mangiare infatti persi 7 chili. Quando la maturità finì mi ritrovai a pensare: . Avevo tutta l’estate davanti e nessun progetto, l’unica cosa che sapevo per certo era che mai sarei andata a quel maledetto matrimonio e che la Michela avrebbe passato le vacanze con Saverio e i genitori di lui. Ma cosa vi ho detto prima? Quando una di noi due ha bisogno l’altra corre: così si presentò la Michela con un pacchetto vacanza per noi due per tutto il mese di agosto ad Ibiza!!!!! Comunicai la decisione ai miei, non chiesi loro il permesso, sapevano che avevo bisogno esattamente di questo e che mai sarei andata a festeggiare Kenneth. La sera prima della partenza mentre ero intenta a preparare la valigia sentì bussare alla porta della mia camera: era lui, bello come il peccato, abbronzato e con una leggera barbetta che lo rendeva ancora più interessante. Deglutii a vuoto facendogli le congratulazioni: Decisi di comportarmi da adulta, quasi… Così dicendo tirai fuori dalla busta del negozio un micro tanga nero: vita bassa e proprio nulla a coprire il “mandolino”. Divenne di tutti i colori finché non disse: Mi afferrò per le braccia stringendo così forte che avevo paura mi lasciasse i segni: Rimanemmo in silenzio a fissarci negli occhi, non eravamo mai stati così vicini, sentii il calore del suo corpo irradiarsi verso il mio, eravamo in affanno come se avessimo corso la maratona e poi accadde l’impensabile: mi baciò. Oh dei! Mi sciolsi, letteralmente, il mio cervello andò in carenza di ossigeno e divenni ebete, incapace di qualsiasi pensiero razionale. Si staccò immediatamente, stordito quanto me e rovinò tutto non appena riprese fiato: Aspetta: voleva liquidare il bacio come se fosse stato una dimostrazione? E di cosa poi?! Rimasi basita e decisi di stoccare la sferzata finale: mi avvicinai fino a parlargli all’orecchio Mi allontanai con lo sguardo fisso sul suo. L’avevo sconvolto: in quel preciso istante capii che nemmeno lui credeva alla storia della bambina da molto tempo ma ci si era rifugiato per chissà quale motivo. Se ne andò senza dire una parola non prima di aver buttato sul mio letto un cd masterizzato con, come copertina, la scritta . Avremmo avuto decisamente qualcosa di cui parlare con la Michela. Passai un mese spettacolare: mare, discoteche, ragazzi.. tutto questo insieme alla mia migliore amica. Passai quasi indenne il dieci agosto ma la sera mi presi una sbronza colossale: mi ritrovai a dormire fino alla sera del giorno successivo. Tornate a casa eravamo cariche e pronte ad iniziare le nostre nuove vite: Michela si iscrisse a biologia ed io iniziai, come sapete, la mia attività. Esattamente un anno dopo Kenneth divorziò e mi chiamò. Desiderava vedermi. Rimasi sorpresa da quella richiesta: non ne capivo il motivo. Era strano da parte sua volermi vedere da sola ma alla fine ci accordammo; sarebbe passato a prendermi al negozio, disse che era curioso di vederlo, e poi saremo andati a prendere un aperitivo. In quel periodo avevo iniziato a frequentare il fiorista da cui mi rifornivo per le decorazioni ed i bouquet: si chiamava Alessio. Carino e simpatico e soprattutto era d’accordo con me sull’essere un po’ più che amici e molto meno che fidanzati. Perciò potevo affermare con sicurezza che la mia vita procedeva bene: il lavoro aveva ingranato ed iniziavo a guadagnare qualcosina, la vita amorosa era piccante e gli amici non mancavano. Insomma, avevo quasi vent’anni ero realizzata professionalmente e me la godevo alla grande. Si sa però che le vecchie abitudini sono dure a morire, così quando lo vidi entrare il mio mondo zuccheroso crollò: considerate che era un anno che non lo vedevo, dalla famosa scena in camera mia. L’unica cosa che avevo fatto era stata di ascoltare all’infinito il cd: tutte canzoni strappalacrime in inglese; non vi dico il lavoro certosino per tradurle, la lingua di Churcill non è proprio nelle mie corde. Michela dopo averne ascoltate due calò la sua sentenza tipo mannaia: <è innamorato di te quello stupido, solo che ha paura di dirtelo e allora si nasconde dietro queste stronzate>. Sì, dentro la Michela c’è uno scaricatore di porto. Negai adducendo il fatto che se fosse stato innamorato di me non si sarebbe di certo sposato con la prima, e qui ometto una parola poco carina, che gli passava davanti. L’amica di tutta una vita mi guardò storto e si arrese: . Giudice e giuria insieme. Non appena varcò la soglia il primo impulso fu quello di corrergli tra le braccia ed invece rimasi al mio posto, dietro la mia fantastica scrivania IKEA seduta sulla mia poltrona dirigenziale sempre made in Svezia. Si avvicinò ed io mi alzai: avete presente quando nei romanzi d’amore parlano di corrente elettrica, magnetismo e pelle d’oca? Siete scettiche? Anche io. Almeno fino a quel pomeriggio. Sembrava che la mia pelle volesse staccarsi dal mio corpo e finire su di lui, divenni sensibilissima a qualsiasi rumore ed in tutto questo i nostri sguardi rimasero incollati. Ero pronta a cedere le armi e a prostrarmi ai suoi piedi quando una vocina dentro di me mi ricordò che lui si era sposato e che, sempre lui, mi aveva umiliato. Non retrocessi ma parlai rompendo l’incanto: Se rimase deluso non lo diede a vedere, si allontanò facendomi riguadagnare prezioso spazio vitale e si mise ad aspettare nel comodo divanetto che avevo comprato per i clienti. Ovviamente mi portò nel mio locale preferito: un pub gestito da due ragazzi poco più grandi di me, con un grazioso cortile all’interno, ideale per chi, come me, amava concedersi una sigaretta di tanto in tanto. Ordinai un Cosmopolitan -ovviamente io e la Michela avevamo scoperto Sex and the City- lui un Martini dry. Rimanemmo in un silenzio imbarazzante per qualche minuto fino a quando non decisi di accendermi una sigaretta: Avete idea di cosa provocò in me quella notizia? No? Vi basti sapere che io quel romanzo lo so a memoria, che sono innamorata di Edward da sempre e che il mio Kenneth me l’ha sempre un po’ ricordato. E Jane ovviamente è la mia eroina per eccellenza. Sapete cosa feci trasparire? Nulla. Lo so il fioraio non era il mio ragazzo ma lui doveva per forza saperlo? Gli andò di traverso il Martini e lì per lì ne fui pienamente soddisfatta ma quando non disse nulla mi resi conto che non stavamo andando da nessuna parte così lo affrontai: Sbottai, per la seconda volta non riuscii a trattenermi. Non rispose ma, proprio mentre mi stavo alzando per andarmene, parlò: Mi alzai e me ne andai. Volete sapere cosa gli diedi? Il suo cd, quello che portavo sempre con me. Se non potevo avere lui non mi sarei accontentata delle sue briciole. I successivi due giorni li passai a piangere tra le braccia di una Michela furiosa con Kenneth, credo che se non gli è venuto un accidente in quei giorni non gli verrà più, passai dall’umiliazione che ancora bruciava alla disperazione, dalla crisi isterica al dolore del mio cuore spezzato, dall’irrazionalità all’apatia. Fino a quando Michela decise che ne aveva avuto abbastanza: mi spogliò ,mi mise sotto la doccia fredda, la odiai in quel momento, mi preparò un bel caffè forte e iniziò ad illustrarmi la sua teoria: Kenneth era una tenia o più comunemente detto verme solitario, uno schifoso parassita che si cibava di me indebolendomi sempre di più e crescendo a dismisura. Secondo lei mi aveva invaso ma la scienza aveva fatto numerosi passi avanti e si poteva eliminare definitivamente. Così iniziai la cura: tolsi dal mio appartamento tutte le foto che ci ritraevano insieme. Smisi di appuntarmi sull’agenda le sue prime, gli spettacoli televisivi a cui avrebbe partecipato e le date del suo tour teatrale. Mi iscrissi in palestra, cambiai pettinatura e cambiai una piccola parte di me. Pensai che in fondo Kenneth aveva ragione: non ero mai cresciuta completamente. L’amore per lui era solo un sogno. Dovevo costruirmi la vita a prescindere da lui. Non lo avrei più aspettato. Così passò un altro anno. Arrivò la sera della prima. Kenneth mandò gli inviti ai miei genitori, a me e alla Michela. Era un’occasione da non perdere: a Londra per la prima di un film! Quando mai mi sarebbe capitata un’altra opportunità simile? Considerando il fatto che la mia attività stava crescendo a livello esponenziale e che l’evento sarebbe andato in onda sul canale cinema di un’importante rete televisiva, la pubblicità era assicurata. La palestra aveva giovato rassodando nei punti giusti così optai per un vestito di seta rossa lungo, senza maniche con uno scollo a barchetta sul davanti molto casto ma che lasciava la schiena completamente nuda. Raccolsi i capelli in un chignon e mi feci truccare da una professionista ed, ovviamente, tacco dodici. Non ero niente male. Ci vennero a prendere due limousine, una per noi ragazze e una per mamma e papà, Kenneth aveva fatto le cose in grande. Non lo avevamo ancora visto: papà ci rassicurò dicendo che i posti erano proprio dietro a quelli di Kenneth e del resto del cast. Immaginate due ragazze di ventidue anni belle come il sole scendere da una limousine alla prima di un film: eravamo frastornate e abbagliate. Quando ci aprirono la portiera e uscimmo dall’auto i paparazzi iniziarono a scattare foto; erano letteralmente in visibilio: due perfette sconosciute tirate a lucido che non si fermavano a parlare con loro. Vi ho detto di come Michela fosse perfetta? Lei è sempre stata più minuta di me e leggermente più bassa così opto per un vestito corto color panna stile anni trenta con trucco e parrucco dell’epoca. Era perfetta. Attraversammo il red carpet come se ci fossimo nate sopra. Non posso parlare per Michela ma in quel momento era tanta la mia voglia di dire che credo avrei camminato sui trampoli senza perdere l’equilibrio. In fondo all’atrio, in prossimità della sala scorsi mio padre abbracciare Kenneth ed in quel momento lui mi vide: mi vide davvero, per la prima volta in vita sua. Vide Melania, la donna che ero e quella che sarei diventata. Ero bella e raffinata e mi sentivo invincibile. Scesi i gradini con la grazia di una dea ed il cuore che pompava a mille. Ah Michela, vi ho già detto quanto l’adori? Si, avevo studiato l’inglese: voi perdereste l’opportunità di parlare con due dei vostri attori preferiti?! Parlammo ancora un po’ poi fummo chiamati in sala: lo spettacolo stava per iniziare. Nel momento esatto in cui Kenneth apparve in scena tutti quelli che mi circondavano sparirono: eccolo lì, l’amore della mia vita in formato gigante intento a dichiarare il suo amore disperato al mondo. Cosa mi impediva di diventare Jane e di immaginare che stesse parlando con me? “Voi...voi, piccolo essere strano e quasi non terreno! E' voi che amo come la mia stessa carne. E a voi...povera e oscura, piccola e semplice come siete...rivolgo la preghiera di accettarmi come marito.” La scena finale fu uno strazio e lì capii: non avrei mai smesso di amare Kenneth, non era una cotta, non era un capriccio. Era amore, quello vero, quello dei libri: sofferto come quello di Jane Eyre, romantico e divertente come quello di Orgoglio e Pregiudizio. Arrivati ai titoli di coda lui si girò verso di me e mi guardò così intensamente che mi mancò il respiro: mi amava anche lui tanto quanto lo amavo anch’io. Ma subito si voltò. Non si sarebbe mai dichiarato: la differenza di età e l’amicizia con mio padre erano per lui ostacoli insormontabili. Si accesero le luci: scrosci di applausi e standing ovation: Kenneth era consacrato, io potevo solo guardarlo da lontano. Ancora una volta lui aveva deciso di voltarmi le spalle. Patetica vero? Forse, ma cosa avreste fatto voi al mio posto? Non l’ho aspettato. Ho avuto le mie esperienze e avrei continuato ad averle; semplicemente io appartenevo a lui, il mio profondo era suo, sul mio cuore e sulla mia anima c’era scritto Kenneth e così sarebbe stato sempre. Gli altri si sarebbero accontentati della superficie di Melania. Andammo alla festa della produzione senza mamma e papà che optarono per una ritirata strategica in hotel. Fu una bella serata ed io mi divertii molto, soprattutto con Jonathan, nel terrazzo del ristorante…dietro non so più quale pianta… Ok, potevo evitarmela, me l’ha detto anche Michela, ma consideriamo i fattori: attore, figo, senza impegno, champagne a fiumi e cuore spezzato. Grazie. Comunque alla fine tornammo in hotel stanche e leggermente alticce. Decisi di farmi una doccia prima di mettermi a letto così quando bussarono alla porta, pensando fosse Michela, andai ad aprire in mutandine e basta. Vi ricordate il vestito? Non potevo mica indossare il reggiseno! Peccato fosse Kenneth molto molto arrabbiato. Mi infiali l’accappatoio, poi mi riebbi: >E’ diverso Melania…> Mi afferrò per le spalle e mi baciò spazzando via qualsiasi cosa: mi aggrappai a lui come se ne andasse della mia vita. Mi divorava le labbra e l’anima. Era un bacio disperato, appassionato. Mettemmo in quel bacio tutti i nostri sentimenti: l’amore, la rabbia, la frustrazione. Fu un lento e straziante addio, quasi non mi accorsi di quando se ne andò portandosi via la parte più viva di me. Passarono i mesi la Michela si laureò a pieni voti e decise di continuare con la specialistica. Io mi buttai a capofitto nel lavoro. Riuscii a stringere accordi commerciali molto vantaggiosi, aprii altri due negozi in franchising e feci una piccola apparizione in tv in un programma specializzato in matrimoni. Gli affari andavano benissimo così decisi di prendere un assistente ed una segretaria: David ed Elisa: giovani, efficienti e con un sacco di voglia di imparare. Si avvicinava l’anniversario dei miei e quindi le vacanze estive decisi così di fare loro un regalo: il viaggio di nozze che non avevano mai potuto fare. Prenotai due posti per una crociera super mega lusso; avevo i soldi, se non li spendevo per chi amavo per cos’altro avrei dovuto spenderli?! Obbligai mia madre a fare shopping: ha la stessa avversione degli uomini… Li imbarcai e decisi su due piedi di fare anche io quindici giorni di ferie. Ero avanti con il lavoro e David ed Elisa erano in grado di cavarsela perfettamente. Chiesi alla Michela se volesse venire con me ma disse di no: doveva studiare e studiare e studiare. Chiusi casa e prima di andarmene passai dai miei per un ultimo controllo. Stavo per uscire quando suonò il telefono, non so perché ma decisi di rispondere: Non potevo farlo venire a casa. Dovevo incontrarlo in mezzo alla gente, dove non c’era pericolo. Chiamai la Michela per dirle che se non si fosse dichiarato mi sarei autoimposta di smettere di amarlo. Siamo giunti all’apertura della storia. Il viaggio verso la casa al mare, fu piacevole: la mia Lancia Y era il mio piccolo sogno diventato realtà. Chiusi l’aria condizionata e aprii il finestrino, il vento tra i capelli e la mia musica preferita tutta intorno a me, mi sentivo spensierata. La chiaccherata con Michela aveva dato i suoi frutti: dopo i primi improperi iniziali la mia amica era tornata padrona di sé e pronta a rendersi utile; la mia idea era quella di restituirgli la sua roba e andarmene, l’eroina romantica per eccellenza, senza mai voltarmi indietro; l’idea della Michela era completamente diversa: dovevo dichiararmi! Urlare il mio amore, dirgli che non mi importava dell’età o di mio padre. Solo dopo, se lui non avesse battuto ciglio, me ne sarei dovuta andare ma questa volta proprio per sempre. Poteva funzionare, anche perché avevo già un piano di fuga: la Michela aveva vinto una borsa di studio alla Sorbona al CNRS (centro nazionale della ricerca scientifica) io avevo comunque già pensato di andare con lei per vedere se potevo espandermi anche all’estero, pensavo molto in grande, quindi in caso di defezione da parte di Kenneth -l’ennesima- sarei potuta sparire per un po’. Arrivai nel primo pomeriggio, così ebbi il tempo di aprire casa e di farmi un bagno. Vi ho già detto quanto amo il mare? È la cosa più bella che esista con tutti i suoi colori e tutta la vita che porta dentro di sé. Ha il potere di tranquillizzarmi e di infondermi energia. Vedo tutto più chiaramente in presenza del mare. Mi depura, mi fa rinascere. Immersa nell’acqua mi sento in un altro mondo. Al rientro a casa mi fermai al minimarket: dovevo festeggiare la pazzia che avrei commesso l’indomani così presi una bottiglia di vino bianco. Arrivata misi il vino in fresco e andai a farmi una doccia calda: avevo sistemato le mie cose in camera dei miei genitori e fu lì che trovai l’album dei ricordi di mia madre. Lo presi e mi recai in cucina a prendere il vino, iniziai a sorseggiarlo sfogliando l’album: mamma e papà da fidanzati, qualche foto del matrimonio e poi eccolo: Kenneth quindicenne ancora ragazzino ma già con le fattezze dell’uomo che sarebbe diventato; e poi ecco me nuda come un verme in braccio ad un Kenneth terrorizzato. Scoppiai a ridere: a sei mesi e a ventitré anni gli facevo esattamente lo stesso effetto. Mi svegliai sul divano intorno alle due del pomeriggio: il tempo minacciava pioggia ma decisi comunque di scendere in spiaggia, del resto l’appuntamento con Kenneth era alla spiaggetta molto più facilmente raggiungibile dalla spiaggia che da casa. Verso le quattro e mezza iniziarono a scendere le prime gocce di pioggia così decisi di avviarmi verso il luogo dell’incontro: era una piccola insenatura e per arrivarci bisogna attraversare una galleria naturale che dalla spiaggia grande portava appunto alla spiaggetta. Non ho istinti suicidi perciò non ci sarei mai andata se avessi saputo che la pioggerillina si sarebbe trasformata in un temporale estivo con tanto di fulmini, tuoni, vento e uno scroscio d’acqua che ti impediva di vedere ad un metro da te. Questa comunque fu la situazione che trovai all’uscita della galleria: non potevo tornare indietro perché il mare si era ingrossato arrivando alla galleria e la corrente era forte così optai per la soluzione più complicata ma più sicura: dall’insenatura partiva un sentiero di circa due chilometri che portava al centro del paese, se fossi riuscita a percorrerlo sarei potuta tornare a casa. Pensai a Kenneth ma quando guardai l’ora notai che erano le cinque passate, non era venuto, probabilmente per colpa del tempo. Pensai di mandargli un messaggio ma mi accorsi di aver dimenticato il cellulare a casa così mi incamminai. Il cielo era così scuro che pareva fosse notte e sinceramente ebbi paura, il sentiero stava diventando fango e le infradito non erano il massimo per camminare, per di più ero carica delle cose di Kenneth e la pioggia non accennava a smettere. Alla fine ce la feci: quando arrivai in piazza ero talmente stanca che mi tremavano le gambe. Percorsi i pochi metri che mi separavano da casa con un groppo in gola. Quando, finalmente, mi chiusi la porta alle spalle iniziai a singhiozzare: ero salva! O almeno così credevo: non feci in tempo a posare le cose per terra che mi sentii afferrare per le spalle: Guardai Kenneth ma non riuscii a proferire verbo. Allora ripresi controllo di me, mi allontanai da lui avvicinandomi alla cucina. Volevo accendere la luce, non mi fidavo a stare al buio con lui. Ma quando si dice il destino… La luce era saltata così accesi delle candele e poi mi voltai a guardarlo. Sembrava veramente sconvolto così cercai di tranquillizzarlo. Mi prese il viso tra le mani: Parlava e mi tastava: le braccia, il viso, i fianchi voleva assicurarsi che stessi bene ma quello che stava dicendo andava ben oltre: Mi tolse il pareo che era zuppo, quando iniziò a slacciarmi il reggiseno del costume lo lasciai fare: non appena i miei seni furono liberi si fermò e mi guardò. Non so dirvi quante emozioni scorsi nei suoi occhi, ma posso dirvi che vidi amore e determinazione. La paura di perdermi si dimostrò più forte della differenza d’età e dell’idea di mio padre. Mi baciò e finalmente lo disse: E lo fece, per tutta la notte e buona parte della mattina. Fu un amante perfetto: era forte e dolce, era dominante e sapeva esattamente tutto quello che mi piaceva ancor prima che glielo dicessi. Era come avevo sempre sognato, anzi, la realtà superava di gran lunga l’immaginazione. Passammo quindici giorni meravigliosi: facemmo l’amore, parlammo, andammo al mare. Un sogno. Come tutti i sogni finì. Si doveva tornare alla realtà e non ero ancora del tutto sicura che saremmo riusciti a superarla. Decidemmo di andare a prendere i miei genitori di ritorno dalla crociera insieme. Credo di aver fumato una decina di sigarette in solo un’ora, Kenneth almeno un pacchetto. Quando li scorsi in mezzo alla folla mano nella mano come due fidanzatini mi vennero le lacrime agli occhi: era così bello vedere i miei genitori così innamorati! Fu allora che Kenneth prese la sua decisione: mi guardò, mi sorrise intrecciando la sua mano alla mia e mi baciò. Fu un bacio lieve, a fior di labbra ma che aveva un significato così importante da mozzarmi il fiato. Voltandoci di nuovo verso i miei genitori li trovammo a pochi metri da noi immobili. Sono stati i momenti più brutti della mia vita. Fu mio padre a fare il primo passo: venne verso di noi e ci abbracciò, poi fu il turno della mamma. Mi resi conto solo dopo di aver trattenuto il fiato fino a quel momento e a quanto pare non ero stata l’unica visto quello che mio padre disse a Kenneth: Sì, per papà e mamma sono una principessa! La fortuna di essere figlia unica! Volete sapere come andò a finire? Beh, potete vederlo da voi! Ci sposammo quattro mesi dopo; organizzai il mio matrimonio in pochissimo tempo ma il risultato fu superbo! E presto mamma e papà si sentiranno chiamare nonni da due piccole pesti! Ora capite perché il seminario di oggi si è tenuto con la relatrice seduta, con questa pancia ho un equilibrio molto precario! “Donne: amore, famiglia e carriera. Inconciliabile?” Questo era il titolo del seminario di oggi. Vi ho raccontato la mia storia per farvi capire che se credete veramente in qualcosa lotterete con le unghie e con i denti per ottenerla. Non fatevi abbattere da nulla e da nessuno. Noi donne siamo una forza della natura anche sotto mille avversità. Cadrete e vi rialzerete e sarete da esempio per le vostre figlie e per le generazioni future. Amate voi stesse al massimo e non accontentatevi di chi vi ama meno di quanto meritiate. Questa è la mia storia, adesso tocca a voi scrivere la vostra.

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